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Immagine del redattoreFrancesca Carannante

L’arte della vinificazione, la strada di successo intrapresa da Francesca Carannante

Un amore puro, quello per il Pinot Nero, ha indicato il percorso intrapreso da Francesca Carannante. La sua storia è un intreccio tra arte e viticoltura, dove ogni bottiglia riflette una personalità che cerca nella tradizione classica uno spazio per esprimersi. Una strada che dalla Campania, da Bacoli per la precisione, porta a Milano per far nascere bollicine nell’Oltrepò Pavese. È la storia di Francesca che, trasferitasi a Milano a 21 anni per studiare all’Accademia di Belle Arti, ha scoperto un'altra forma d’arte, quella della vinificazione. Un colpo di fulmine per il vino, che l’ha portata ad abbracciare una nuova passione e a dedicarsi al Metodo Classico in una delle terre più vocate, e forse meno valorizzate, per le bollicine italiane.


Francesca, come nasce questa tua passione per il vino?


Tutto è iniziato con una grande curiosità per il vino, l'unica bevanda che davvero mi piace. Cinque anni fa, mentre lavoravo in una galleria d'arte a Milano, ho deciso di iscrivermi a un corso di Primo Livello Sommelier, attratta dalla cultura e dal mondo racchiuso in un calice. Da quel momento, la mia passione è esplosa, ho visitato numerose cantine in Franciacorta e Valpolicella e ho continuato a studiare, ottenendo anche il secondo e terzo livello dei corsi inglesi WSET.


L’etichetta delle tue bottiglie è un piccolo simbolo d’arte, come il vino può diventare arte in sé?


Il vino stesso può essere considerato arte. Sebbene possano sembrare due temi distanti, la connessione tra i due risiede nell’apertura. L’arte, infatti, è apertura, perché non si può giudicare un’opera in modo universale, dato che ognuno ne coglie aspetti diversi e personali. Possiamo valutare la tecnica, ma non il sentimento che trasmette. Così è anche per il vino, che si lega all’istante, allo stato d’animo, al modo in cui lo si vive. Il giudizio, quindi, non può riguardare le emozioni che suscita, ma solo la qualità e la cura nella sua produzione.


Come è nata la tua azienda?


Non possiedo personalmente i vigneti, ma collaboro strettamente con la Cantina Fontanachiara a Tradella, nel cuore dell’Oltrepò Pavese, in provincia di Pavia. L’idea è nata quasi per gioco, durante alcune visite alle cantine, sono entrata in contatto con una realtà distributiva di cui poi sono diventata socia. Così ho iniziato a sviluppare il mio progetto personale, spinta dalla mia passione per il Pinot Nero. Questo interesse si è concretizzato sempre di più fino a dare vita a una bollicina a dosaggio zero, che oggi si esprime in tre etichette, frutto di oltre tre anni di lavoro.


In un mondo sempre più orientato verso la produzione industriale, perché la scelta del Pinot Nero e, di conseguenza, del Metodo Classico?


Il Pinot Nero è il vitigno che sento più mio, è da lì che tutto ha avuto inizio. È una varietà che richiede necessariamente il Metodo Classico per esprimersi al meglio e per questo, insieme a Roberto Maggi, enologo della cantina partner, abbiamo definito una cuvée dedicata, con una produzione annua di diecimila bottiglie suddivise tra le tre referenze. Si tratta di un progetto sartoriale, mirato e su piccola scala, con volumi volutamente non pensati per il mercato di massa.


Quali sono le sfide principali che affronti come produttrice di vino?


Ogni anno mi impegno a creare un vino che parli di me, un vino che porta il mio nome richiede una cura speciale. Il Metodo Classico, poi, è una sfida complessa, con una tecnica di produzione lunga e rigorosa, ma è proprio in questo che trovo l'essenza del mio lavoro. La cantina Fontanachiara, dedicata esclusivamente agli spumanti, è una scelta precisa. Essere parte di una realtà di alto profilo mi permette di affrontare una sfida autentica e stimolante. Il mio obiettivo è realizzare, anno dopo anno, un vino che rifletta il mio gusto e il mio carattere, accogliendo le naturali differenze tra le annate causate dal clima e da altri fattori esterni.


Quali sono i valori o i dettagli che desideri trasmettere attraverso i tuoi vini?


Il Pinot Nero è la mia grande passione, è un vitigno complesso e sensibile, difficile da lavorare per i viticoltori, ma in grado di dare vita a vini dalla struttura e dal corpo notevoli, sempre eleganti e mai opprimenti. Attualmente, la cuvée è composta dal 60% di Pinot Nero del 2019 e dal 40% del 2020, entrambi affinati in acciaio, senza passaggio in legno, per una scelta stilistica precisa. L'identità del mio vino si fonda su freschezza, pulizia e mineralità. Ho voluto creare qualcosa che mi rispecchi: una bollicina delicata, non invadente, con una presenza leggera e raffinata. Il vino matura in bottiglia per circa 33-36 mesi, raggiungendo una piacevole bevibilità, anche grazie alla bolla che rimane morbida e sottile.


Tre etichette per tre declinazioni tutte da degustare, ce le racconti?


Le mie tre etichette condividono la stessa base, ma si distinguono per il diverso dosaggio di zuccheri. La prima, quella da cui tutto è cominciato, è un dosaggio zero con 2 grammi di zucchero naturale senza aggiunte, pura e intensa come la sua bottiglia total black. Questa versione, dal carattere deciso e spigoloso, asciuga piacevolmente il palato e si abbina bene a fritture leggere, ostriche o pesci più grassi come il tonno o il salmone. La seconda etichetta, contraddistinta dal tappo argentato, è l'Extra Brut con 5 grammi di zucchero. È il più equilibrato dei tre e versatile negli abbinamenti in quanto si sposa perfettamente sia con piatti di pesce sia con carni bianche. Infine, il Brut Rosé, che contiene 8 grammi di zucchero, ha una splendida tonalità rosata, quasi ramata, dovuta alla buccia sottile del Pinot Nero, che in macerazione regala sfumature delicate. Tra le tre, è la versione leggermente più zuccherina, ma mantiene sempre la sua mineralità senza risultare dolce. Si abbina alla perfezione con formaggi, gamberi, caramello salato e frutta secca.


Hai mai collaborato con artisti o organizzato eventi che uniscano il vino e l’arte?


A marzo ho inaugurato una mostra fotografica al Palazzo Reale di Milano, con un vernissage a cui hanno partecipato 300 persone che hanno degustato i miei vini. Successivamente, ad aprile, durante il Salone del Mobile, i miei vini sono stati presentati in degustazione presso la prestigiosa galleria d’arte di Roberta Ebasta. Mi piacerebbe sempre più indirizzarmi verso questo tipo di eventi culturali di alto livello. Recentemente, ho completato il packaging dei vini: ho creato cartoni decorati con schizzi pittorici e ho dipinto personalmente le cassette di legno per i magnum con una vernice dorata, donando loro un tocco artistico.


Qual è il ruolo del territorio nella tua produzione? Come cerchi di rappresentarlo nel tuo vino?


È una vera sfida. In molti si chiedono perché, essendo campana, abbia scelto di produrre vino nell’Oltrepò Pavese. La motivazione principale è il Pinot Nero, un vitigno che trova condizioni ideali non solo in Trentino Alto Adige, ma anche qui, in un territorio spesso sottovalutato rispetto, ad esempio, alla Franciacorta, che gode di un consorzio più influente. Dopo aver assaggiato tanti vini, sono convinta che l’Oltrepò abbia una grande vocazione, sebbene sia ancora poco valorizzato. Ho scelto di investire in questo progetto proprio per evidenziare il potenziale di un territorio ricco di possibilità.

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